Si
respirava un’aria particolare questa mattina agli incontri con gli autori presso
l’Hotel Urban: aria da ultimo giorno di scuola, innanzitutto, essendo
l’appuntamento mattutino finale per questa splendida diciannovesima edizione del
Trieste film festival; aria frizzante e d’attesa, d’altra parte, perché al
termine della conferenza sono stati annunciati i vincitori delle varie categorie
in concorso.
La sorridente regista turca Ismet Ergun ha aperto le danze,
spiegando l’input emozionale che l’ha spinta a girare il suo film in concorso,
“Bende Sira” (Tocca a me!):”sono cresciuta in una città della Turchia, dove io e
i miei amici non avevamo molte opportunità di andare al cinema. Mio zio, però,
dirigeva una sala cinematografica e io ci portavo le mie amiche dopo la scuola.
I posti però erano limitati, e quindi ce li giocavamo al “tocco”. Il film è
stato proiettato ieri sera alla sala Excelsior senza sottotitoli: a molti è
sembrato un errore tecnico, invece la mancanza della traduzione è frutto di una
scelta precisa della regista: “ non volevo mettere le parole, ma far vedere al
pubblico solo le immagini. Ho studiato pittura, mi piace esaltare il significato
di ciò che si vede, come se si stessero osservano dei quadri”.
A
presentare Laila Pakalnina, regista di “Uguns” (Fuoco) e giurata del concorso
cortometraggi del festival, era presente lo scrittore Tiziano Scarpa, il quale
si è dichiarato affascinato da questo documentario-visione, che lo stesso
scrittore usa come sfondo per le letture di poesie: “l’ho avvertita solo quando
l’ho vista qui a Trieste – spiega lo scrittore – e per fortuna non si è
arrabiata e ha deciso di non denunciarmi!”. Sulla scelta del formato, la regista
lettone si è così espressa: “ ho cominciato a girare dei lungometraggi, poi
ultimamente ho preso la decisione di scrivere un cortometraggio: è la stessa
differenza tra correre sulle lunghe distanze o fare uno sprint, sono due
discipline diverse dello stesso sport.”
Nebojsa Slijepevic, regista di
“Za 4 godine” (Fra quattro anni), spiega il suo film: “ mi avevano commissionato
un film per publicizzare la guida sicura e grazie a questo ho conosciuto Damir,
un ragazzo di ventisei anni costretto alla sedia a rotelle in seguito ad un
brutto incidente stradale. Mi ha impressionato la sua voglia di vivere, per
questo ho voluto raccontare la sua storia. E’ stato bravissimo e paziente,
sempre disponibile a ripetere una scena quando c’era bisogno, in modo da farci
lavorare al meglio sull’aspetto visivo”.
Un pizzico di Italia nel regista
Georges Salameh, “Oros Falakro” (Il monte Falakro), un diario di viaggio alla
ricerca di ricordi della guerra civile in Grecia: “sono venuto in Italia dopo
aver terminato gli studi in Francia. Ho lavorato in Sicila per un documentario
sulla mafia, ho deciso di rimanervi, dato che mia moglie è palermitana”. Poi sul
film: “avevo girato tutto più di dieci anni fa, ma ho deciso di montare solo
poco tempo fa: è una sorta di pellegrinaggio verso la memoria.”
Un
Fabrizio Grosoli che si definisce commosso da un film così duro, che gli ha
provocato sofferenza, introduce la regista del film “Das geheimnis von deva” (Il
segreto di Deva), film che racconta la storia di due giovani ginnaste che si
allenano a Deva e i sacrifici quotidiani che devono sopportare per poter
giungere al successo. Così Anca Miruna Lazarescu, la regista: “lo considero un
film egoistico, ero una ginnasta anche io ma mi son fermata molto presto perché
non ero granchè brava, non sono riuscita ad arrivare in alto... Pitic e Malina,
le due bambine, potrebbero invece avere il succeso che si meritano.” La
Lazarescu si sofferma poi sui metodi adottati dagli allenatori: “è strano veder
lottare e soffrire delle atlete così giovani, soprattuto considerando i metodi
violenti e quasi crudeli degli allenatori”.
Tema delicato quello
affrontato dai registi serbi Dinko Tucakovic e Milan Nikodijevic con il loro
“Zabranjeni bez zabrane” (Censurati senza censura). Il film tratta infatti la
storia di un movimento cinematografico, denminato “Onda nera” e della censura di
cui è stato vittima. Getta però un po’ d’acqua sul fuoco Nikodijevic: “si
trattava di censura dovuta al regime totalitario, ma i dissidenti nella ex
Yugoslavia non erano poi trattati così male. Ci impedivano di girare quello che
avremmo voluto, ma per lo meno non ci mettevano in prigione, come è succeso
durante altri regimi totalitari in altri paesi europei.” Poi una curiosità da
Tucakovic: “il film diventerà una mini serie televisiva: abbiamo girato più di
quaranta ore d intervista, non si riusciva a concentrare tutto in un film. Per
questo confezioneremo altri cinque episodi”.
Ultimo intervento in
programma quello di Alvaro Petricig, regista di “Mala Apokalipsa”, presentato in
anteprima assoluta in Sala Azzurra. “Sono stato in un villaggio abbandonato, e
mi sono domandato perché l’essere umano sia così affascinato dalle rovine. Ho
voluto recuperare qualche frammento di un’umanità che altrimenti sarebbe andata
perduta”. Il regista si sofferma poi sugli spunti tecnici: “ho usato diversi
materiali, associandoli a frammenti di immagini che richiamassero le rovine che
stavamo vedendo. Ho utilizzato storia e materiali del passato cercando di far
intravedere però anche quello che sarebbe potuto essere il futuro di questi
luoghi abbandonati”.
L’incontro con gli autori si è concluso con un
grande applauso di tutti i partecipanti e un brindisi di arrivederci, durante il
quale registi, organizzatori e appassionati di cinema si sono dati appuntamento
per la ventesima edizione del Trieste film festival. Quindi non ci resta che
ringraziarvi tutti e… all’anno prossimo!
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